Produrre energia pulita bruciando i rifiuti? Oggi si può. Ci pensa la termovalorizzazione, il processo che sfrutta un tipo di impianti - i termovalorizzatori - in cui il calore prodotto dalla combustione dei rifiuti indifferenziabili, ovvero non riciclabili tramite raccolta differenziata, viene usato per produrre, ad esempio, energia elettrica o acqua calda sanitaria. Il processo di termovalorizzazione si basa sui concetti di riutilizzo e recupero degli scarti e gioca un ruolo chiave in una gestione dei rifiuti il più sostenibile possibile. Scopriamo come.
La termovalorizzazione dei rifiuti avviene attraverso delle fasi precise.
Ce lo dice il nome stesso: la termovalorizzazione “valorizza” i rifiuti. Non solo li smaltisce bruciandoli, come si limita a fare invece un inceneritore, ma sfrutta il calore prodotto dalla combustione per generare energia elettrica o acqua calda. Con l’inceneritore il ciclo vita dei rifiuti termina letteralmente con il loro “incenerimento” o termodistruzione, con un termovalorizzatore al contrario i rifiuti vengono riutilizzati e recuperati per altri scopi come la produzione di corrente. Inoltre, a differenza dei termovalorizzatori che bruciano ad una temperatura che oscilla mediamente tra gli 850 e i 1000 gradi, i forni degli inceneritori raggiungono temperature superiori ai 1000 gradi.
Secondo dati aggiornati al 2022, i termovalorizzatori in Italia sono circa 37 situati in prevalenza al Nord, che conta 26 impianti tra Milano, Pavia, Torino, Modena e Brescia; 13 in Lombardia e 7 in Emilia Romagna. Si calcola che nel 2020 abbiano trattato quasi 3 milioni di tonnellate di rifiuti, cioè il 74,5% sul totale di rifiuti inceneriti al Nord. Sono invece 532 mila tonnellate e più di un milione di tonnellate quelli trattati rispettivamente al Centro dove sono operativi 5 termovalorizzatori e al Sud che ne ha 6.
In base alla ricerca pubblicata nel “Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani”, gli impianti di termovalorizzazione presenti sulla nostra Penisola avrebbero trattato 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e speciali, producendo 4,6 milioni di Mwh di energia elettrica e 2,2 milioni di Mwh di energia termica, soddisfacendo nel complesso il fabbisogno energetico di circa 2,8 milioni di famiglie. Il confronto con i livelli europei resta però impietoso: in Francia gli impianti sono 126 e in Germania 96. Il più famoso è quello di Copenaghen, che ha sul tetto una pista da sci di 400 metri realizzata con neve sintetica.
I dati di uno studio condotto dai politecnici di Milano e Torino e dagli atenei di Trento e di Roma 3 Tor Vergata per Utilitalia, dimostrano che l’impatto ambientale di un termovalorizzatore è di otto volte inferiore a quello di una normale discarica. Uno dei vantaggi della termovalorizzazione è quindi quello di ridurre la quantità dei rifiuti destinati alle discariche e di conseguenza anche i costi economici relativi. La possibilità di ottenere energia attraverso la combustione degli scarti contribuisce inoltre a diminuire l’impiego dei combustibili fossili (petrolio, gas e carbone) per la produzione di elettricità o calore.
Tuttavia, i termovalorizzatori non sono ancora una soluzione a impatto zero: l’emissione di CO2 e di altre sostanze nocive prodotte al termine del trattamento dei rifiuti costituiscono un pericolo sia per la salute che per l’ambiente. Uno dei principali svantaggi degli impianti di termovalorizzazione è infatti quello legato ai fumi e alle ceneri prodotte in seguito alla combustione. Secondo il parere di molti, la raccolta differenziata è l’unica in grado di ridurre la quantità di rifiuti che finisce in discarica.
Energia green: le soluzioni di VIVI energia
Se la termovalorizzazione non è la soluzione a tutto, resta allora fondamentale contribuire ad un’economia circolare e sostenibile attraverso piccole gestioni quotidiane, come la scelta di un gestore luce e gas attento al risparmio energetico e all’utilizzo di energia verde. Lo è ad esempio VIVI energia, che offre un’ampia gamma di soluzioni ad alta efficienza energetica tra cui: