ORTI URBANI

Cosa sono gli orti urbani

Coltivare frutta e verdura in città? Oggi è possibile grazie agli orti urbani, spazi verdi situati all'interno delle città di solito di proprietà comunale (orti comunali) affidati in comodato d’uso a cittadini o associazioni per la coltivazione a uso personale di frutta, fiori, erbe aromatiche e verdura. Sorgono spesso in zone abbandonate o a rischio speculazione edilizia coinvolte da progetti di riqualificazione urbana e contribuiscono alla promozione di uno sviluppo sostenibile migliorando la qualità della vita nelle aree urbane.

Le origini degli orti urbani

La pratica di coltivare frutta e verdura all'interno dei confini urbani ha radici lontane. Nell'antica Roma, ad esempio, esistevano gli orti, giardini privati che includevano spazi dedicati alla coltivazione di ortaggi destinati a soddisfare il fabbisogno alimentare della famiglia. Ma gli orti urbani moderni hanno origini più recenti risalenti al XIX secolo, quando con l’industrializzazione molte città dovettero affrontare problemi di sovraffollamento e carenza di cibo; in quel periodo, infatti, un elevato numero di lavoratori emigrò con le rispettive famiglie dalle zone rurali verso le città in cerca di lavoro nelle fabbriche. Si trattava spesso di famiglie molto povere in condizioni economiche precarie, di emarginazione e malnutrizione: gli orti allestiti in appezzamenti di proprietà delle amministrazioni locali, delle fabbriche o di comunità religiose nacquero così gli permettevano di coltivare gli ortaggi, allevare piccoli animali e provvedere al loro sostentamento.

I primi orti urbani nascono nel 1800 in Germania, erano i cosiddetti Kleingarten, spazi riservati unicamente ai bambini che si sarebbero poi trasformati in appezzamenti destinati a provvedere ai bisogni alimentari di famiglie o piccole comunità; verso la fine dello stesso secolo cominciano a diffondersi anche nel resto dell’Europa dai migrant gardens anglosasson ai jardin ovrieurs francesi.

In Italia gli orti urbani arrivano durante la Seconda Guerra Mondiale con l’iniziativa “Orticelli di guerra” che metteva a disposizione della popolazione il verde pubblico perché lo coltivasse. L’obiettivo era ridare vita ad ogni pezzo di terra coltivabile presente nelle città messe a dura prova dal conflitto. Dopo questo periodo l’idea fu abbandonata per essere ripresa poi all’inizio di questo secolo da gruppi e associazioni di cittadini per promuovere forme di agricoltura sostenibile anche in città.

Orti urbani nel mondo

Oggi gli orti urbani sono una realtà diffusa in molte città del mondo. Diversi per dimensioni e organizzazione, condividono però tutti l'obiettivo di ricreare una connessione con la natura e favorire i legami sociali. In metropoli come Parigi, Londra e New York, sono un aspetto essenziale della vita urbana e sono spesso supportati da organizzazioni non profit, amministrazioni locali o piccole comunità di cittadini. Secondo la FAO, sono circa 800 milioni le persone che nel mondo oggi praticano agricoltura urbana. Uno dei più grandi orti urbani si trova a Parigi e si estende su una superficie di 14 mila metri quadri; non è da meno il progetto Hortas Cariocas a Rio de Janeiro in Brasile nato nel 2016 e che quando verrà completato, nel 2024 a detta dello stesso sindaco, sfamerà con prodotti biologici le famiglie più svantaggiate della metropoli. Si tratta di 56 orti: 29 nelle favelas e 27 nelle scuole della città.

Orti urbani in Italia

Nel nostro paese il fenomeno degli orti urbani ha visto un incremento significativo soprattutto dopo la pandemia da Covid. Da Nord a Sud le iniziative proliferano e in base ad alcuni dati Istat negli ultimi 5 anni si è registrata una crescita del 18%. Secondo Coldiretti il 44% degli italiani oggi coltiva un orto.

In testa troviamo l’Emilia Romagna seguita da Lombardia, Toscana, Veneto e Piemonte. Bologna è la città con più orti urbani d’Italia e anche quella con il più grande del paese: 47 ettari di terreno nella zona di Borgo Panigale gestiti dalla cooperativa Arvaia. I prodotti coltivati in questo orto finiscono sulle tavole di 150 famiglie.


Come funziona un orto in affitto

Gli orti urbani funzionano come spazi condivisi di dimensioni variabili; vengono dati in gestione per un periodo di tempo definito a privati cittadini, associazioni, organizzazioni non profit o enti locali. I partecipanti (urban farmer) affittano così un appezzamento di terra, ciascuno ha poi la responsabilità di coltivarlo e curarlo fino alla raccolta e distribuzione dei prodotti coltivati.

La normativa che disciplina l’affidamento di un orto urbano varia da comune a comune, ciascuna amministrazione definisce in maniera autonoma il relativo regolamento. Per ottenere la concessione in generale è necessario fare richiesta al proprio Comune di residenza, che analizzerà la proposta e la inserirà in una graduatoria. Gli orti affidati si dividono in 3 categorie: A, B e C.

  • Gli orti urbani di tipo A sono affidati a cittadini che abbiano compiuto i sessantacinque anni di età e che siano residenti nel comune presso il quale si fa richiesta. Il richiedente non deve possedere terreni, né essere agricoltore;
  • Gli orti di tipo B sono assegnati a cittadini con età inferiore ai 65 anni. Valgono tutti gli altri requisiti della categoria A;
  • Gli orti di tipo C sono affidati alle associazioni e alle scuole.

In genere l’assegnazione ha una durata di qualche anno al termine dei quali lo urban farmer può richiedere il rinnovo; secondo Coldiretti i costi per un orto urbano si aggirano intorno ai 300 euro l’anno (tra acquisto di terra, piantine o semi, concime e strumenti di lavoro) per uno spazio di 20 metri quadrati.

Tutti i vantaggi degli orti urbani

In termini di sostenibilità gli orti urbani offrono numerosi vantaggi come ad esempio:

  • riqualificare zone urbane altrimenti destinate all’abusivismo edilizio, al degrado e all’abbandono;
  • promuovere forme di agricoltura sostenibile;
  • incoraggiare il rispetto per l’ambiente e uno stile di vita più green, grazie alla produzione di alimenti nutrienti e salutari coltivati senza l’uso di pesticidi;
  • favorire l’attività fisica e il contatto con la natura;
  • tutelare la biodiversità e quindi la salvaguardia di specie vegetali a rischio estinzione;
  • combattere gli sprechi alimentari;
  • favorire il consumo di prodotti a km zero;
  • incentivare la creazione di reti sociali spingendo i cittadini a riunirsi in gruppi e a collaborare, condividono consigli e risorse;
  • educare alla sostenibilità e alla cura dell'ambiente;
  • ridurre la dipendenza dalle importazioni di prodotti alimentari o dalle grandi catene di distribuzione.


VIVI energia per le aziende: efficienza e sostenibilità

Seguire uno stile di vita sostenibile è fondamentale; per farlo basta adottare quotidianamente alcuni piccoli accorgimenti:

  • ridurre al minimo il consumo di plastica o prodotti monouso, preferendo i prodotti durevoli, riutilizzabili o riciclabili;
  • privilegiare l’uso di energie rinnovabili (grandi alleate della transizione energetica) ad esempio con l’installazione di un impianto fotovoltaico come quello di VIVI energia, che permette di: sfruttare il meccanismo di scambio sul posto e compensare l’energia prodotta dai pannelli e immessa sulla rete nazionale, con quella prelevata e consumata in un momento diverso da quello della produzione; avere energia disponibile anche con il cattivo tempo grazie a un sistema di accumulo; abbattere i costi in bolletta;
  • limitare l'uso dell'auto privata, utilizzando il trasporto pubblico o mezzi più sostenibili come la bicicletta o veicoli a basse emissioni;
  • fare scelte alimentari sostenibili scegliendo cibi locali e di stagione, riducendo il consumo di carne e latticini e cercando prodotti biologici e a chilometro zero;
  • risparmiare sul consumo d'acqua riparando eventuali perdite, installando rubinetti a basso consumo idrico e limitando il tempo trascorso sotto la doccia

Il contenuto è a scopo informativo per cui Vivigas S.p.A. non si assume la responsabilità in caso di errori/omissioni e invita sempre il cliente a visitare il sito di Arera per qualsiasi verifica o approfondimento.